Un focus sull’autoinganno, le visioni del mondo e una modalità di analisi dialettica

di Richard Paul, Sonoma State University.

Pubblicato originariamente in “Informal Logic“, Vol. 4, No. 2, 1981.

[Pubblichiamo in traduzione italiana un importante contributo di Richard Paul per l’insegnamento del pensiero critico. Paul valorizza l’approccio dialettico tra visioni del mondo alternative]

«[…] non esiste alcun punto astratto o analitico al di fuori di ogni connessione con il pensiero storico, personale: […] ogni pensiero appartiene non solo a qualche parte ma a qualcuno, ed è a casa in un contesto di altri pensieri, un contesto che è non puramente formalmente prescritto. I pensieri […] sono qualcosa da conoscere e comprendere in questi termini concreti».

Isaiah Berlin, Concetti e categorie, XII

 1. Il senso “debole”: pericoli e insidie

Insegnare un corso di pensiero critico significa prendere decisioni importanti, e per la maggior parte di noi frustranti, su cosa includere ed escludere, cosa concepire come obiettivi fondamentali e quali secondari, e come legare tutto ciò che si include in un insieme coerente in relazione ai propri obiettivi. V’è stato un dibattito considerevole e importante sul valore di un approccio “simbolico” rispetto a un approccio “non simbolico”, sulla definizione e sulla classificazione delle fallacie, sull’analisi di argomenti estesi e non estesi, e così via. Si è discusso poco – per quanto ne so, praticamente non v’è stato dibattito – su come evitare il “pericolo” fondamentale nell’insegnare un corso del genere: quello dei “sofismi”. Ogni studente che studia il pensiero critico a livello universitario ha un sistema di credenze altamente sviluppato, sostenuto da abitudini di pensiero profondamente radicate acritiche, egocentriche e sociocentriche, attraverso le quali interpreta ed elabora la sua esperienza, accademica o meno, e la colloca in una prospettiva più ampia. La conseguenza pratica è che la maggior parte degli studenti trova facile mettere in discussione soltanto quelle credenze, assunzioni e inferenze che hanno già “rifiutato” e trova invece molto difficile, in alcuni casi anche traumatico, mettere in discussione quelle credenze sulle quali hanno un investimento personale, egocentrico. Non conosco modi per insegnare il pensiero critico in modo che lo studente prima impari a riconoscere ipotesi e deduzioni discutibili in casi “egocentricamente” neutri e poi “trasferisca” automaticamente quelle abilità a quelli egocentrici e sociocentrici. Infatti, penso che il caso tipico sia il contrario. Quegli studenti che hanno già sviluppato una buona serie di ipotesi distorte, stereotipi, credenze egocentriche e sociocentriche, addestrandosi a riconoscere ragionamenti “cattivi” in casi “neutri” (o nel caso dell'”opposizione”) diventano più, e non meno, sofisticati: più abili nel “razionalizzare” e “intellettualizzare” i pregiudizi che già hanno. È quindi meno probabile che li abbandoni se in un secondo momento incontrano qualcuno che li interroga. Come il credente religioso che studia “apologetica”, ora hanno una varietà di “mosse” critiche di cui possono fare uso in difesa del loro sistema di credenze egocentrico a priori.

Ovviamente non desideriamo che il nostro insegnamento abbia questo effetto. Ritengo ovvio che praticamente tutti gli insegnanti di pensiero critico vogliano che il loro insegnamento abbia un effetto “socratico” globale, facendo alcune incursioni significative nel ragionamento quotidiano dello studente, migliorando in una certa misura quel sano, pratico e abile scetticismo che si associa naturalmente e giustamente alla persona razionale. Ciò comprende necessariamente, mi sembra, una certa esperienza nel mettere seriamente in discussione convinzioni e presupposti precedentemente sostenuti e nell’identificare contraddizioni e incongruenze nella vita personale e sociale. Immagino che la maggior parte di noi, quando pensiamo in questo modo e intravediamo scorci nella vita quotidiana e nelle abitudini dei nostri studenti, sperimenta a volte momenti di frustrazione e cinismo.

Non credo che la situazione sia affatto senza speranza, ma credo che sia giunto il momento di sollevare seri interrogativi sulle modalità standard di insegnamento del pensiero critico. Queste modalità standard, per come le sto concependo, sono ciò che identifico con l’insegnamento del pensiero critico in senso “debole”.

L’assunto più fondamentale e discutibile di questi approcci (sia formali che informali) è che il pensiero critico può essere insegnato con successo come una batteria di abilità tecniche che possono essere padroneggiate più o meno una alla volta, senza che venga data una significativa attenzione ai problemi di autoinganno, di logica di base e di questioni etiche multi-categoriali (esplorerò come questi problemi sono correlati).

Lo scenario solitamente è il seguente. Si inizia con un discorso di incoraggiamento generale sul significato del pensiero critico per la vita personale e sociale. In questo discorso di incoraggiamento si ricordano i problemi sociali su larga scala creati dal pregiudizio, dall’irrazionalità e dalla manipolazione sofistica. Quindi ci si lancia in una discussione sulla differenza tra argomenti e non-argomenti e il lettore è portato alla concezione che, senza alcuna ulteriore conoscenza dei pro e dei contro di considerazioni contestuali o di fondo, può imparare ad analizzare e valutare atomicamente gli argomenti in cui si imbatte (i “non-argomenti” non necessitano presumibilmente di un giudizio critico) analizzandoli e focalizzandosi sulla relazione tra “premesse” e “conclusioni”. Nell’esaminare tale relazione il lettore è incoraggiato a cercare errori formali e/o informali, concepiti come “errori” atomicamente determinabili e correggibili. L’irrazionalità nel ragionamento umano è quindi riducibile a complesse combinazioni di errori atomici. Uno lo sradica, presumibilmente, sradicando gli errori atomici uno per uno.

Non credo che modelli di questo tipo siano utili nell’insegnamento del pensiero critico. Questo approccio atomistico del “senso debole” e i presupposti discutibili su cui si basa devono essere contrapposti con un approccio alternativo, specificamente volto ad evitare le insidie dell’approccio atomistico.

In questa visione alternativa si abbandona l’idea che il pensiero critico possa essere insegnato come una batteria di abilità tecniche atomiche indipendenti da credenze e impegni egocentrici. Al posto degli “argomenti atomici” ci si concentra sulle reti di argomenti (visioni del mondo); invece di concepire gli argomenti come suscettibili di valutazione atomica si adotta un approccio più dialettico/dialogico (gli argomenti vanno valutati in relazione alle contro-argomentazioni, in cui si possono fare mosse molto difficili da difendere o che rafforzano la propria posizione). Si è portati a vedere che gli argomenti atomici (concezione tradizionale) sono in realtà un insieme limitato di mosse all’interno di un insieme più complesso di mosse effettive o possibili che riflettono una varietà di impegni logicamente significativi nel mondo. In questo mondo “reale”, sia quello del discorso “ordinario” che quello “filosofico”, gli scambi argomentativi sono mezzi attraverso i quali punti di vista in conflitto vengono portati in conflitto razionale, e in cui le linee di ragionamento fondamentali sono raramente “confutate” da un’accusa individuale di “fallacia”, per quanto ben supportata. L’accusa di fallacia è una mossa. Raramente è logicamente convincente; praticamente non “confuta” mai un punto di vista. Questo approccio, credo, quadra molto più da vicino con la nostra esperienza e con quella degli studenti relativamente agli scambi di argomenti.

Introducendo lo studente fin dall’inizio a questi problemi più “globali” nell’analisi e nella valutazione del ragionamento, possiamo, anzi dobbiamo, se vogliamo avere successo, aiutarlo a un riconoscimento teorico più chiaro del rapporto tra visioni del mondo, forme di vita, impegni e interessi umani, che cosa è in gioco (a differenza di ciò che è in questione), come sia spesso in questione proprio ciò che è in questione, quanto l’inespresso possa essere significativo, più di ciò che è espresso, delle difficoltà, in conseguenza di quanto sopra, nel giudicare la credibilità e, non ultima, la dimensione etica nei problemi umani più importanti e complessi.

Prima di andare oltre, però, vorrei dire qualcosa sul problema della valutazione di un approccio del “senso forte” all’insegnamento delle capacità critiche.

 2. Valutare un approccio del “senso forte”

Dovrebbe essere chiaro che credo si possa insegnare il pensiero critico nel senso “forte”. Ritengo inoltre che il suo successo possa essere valutato in termini relativamente oggettivi, anche se non particolarmente nei termini concepiti solitamente (come, ad esempio, il test del pensiero critico Watson-Glazer). Suggerirei, in luogo di tale esame, le seguenti considerazioni generali. Nella misura in cui si insegna con successo il pensiero critico in senso forte, assumendo che una mossa in quella direzione emerga dall’approccio tradizionale, si dovrebbe iniziare a notare quanto segue:

1) un numero crescente di studenti, sia in sede di valutazione del corso sia in modo informale, esprimerà entusiasmo per l’argomento, raccontando aneddoti su situazioni della propria vita in cui hanno trovato utile l’analisi critica;

2) un numero crescente di studenti esprimerà interesse per un corso di follow-up e indicherà modi in cui il loro lavoro è migliorato in altre materie di studio;

3) il corso spingerà un numero crescente di studenti a laurearsi in filosofia (questo dipende in parte dal fatto che il dipartimento abbia enfatizzato o meno la filosofia applicata ed evidenziato lo sviluppo di abilità critiche nel senso forte);

4) un numero crescente di studenti non di filosofia esprimerà interesse per la teoria del pensiero critico;

5) un numero crescente di studenti esprimerà interesse a perseguire un obiettivo di carriera che implichi il pensiero critico (ad esempio, insegnandolo a livello elementare, secondario o universitario);

6) ci saranno ricadute nell’attività “politica” degli studenti man mano che svilupperanno un interesse crescente nell’applicare l’analisi critica alla retorica politica, vedendo le conseguenze negative del “pensiero acritico” in termini etici.

Queste sono le conseguenze che ho osservato (assumendo che non sia colpevole di ragionamento causale difettoso e di autoinganno) da quando il mio insegnamento del pensiero critico (ogni semestre negli ultimi sette anni) si è evoluto verso un impegno sempre più esplicito con obiettivi e teoria del “senso forte”. Un esempio particolarmente vivido dell’effetto di cui sto parlando è illustrato dall’emergere di un gruppo di discussione sul pensiero critico che si è formato lo scorso semestre nel mio campus (composto da 11 assistenti alla didattica in filosofia e un gruppo di non major) che si riunisce bisettimanalmente per discutere di teoria e applicazione dell’analisi critica. (Potrei aggiungere che Ralph Johnson e Tony Blair hanno avuto una dose di prima mano dell’entusiasmo e della serietà di alcuni di questi studenti quando un piccolo gruppo li ha coinvolti in una discussione notturna sulla teoria del pensiero critico.)

I risultati poi credo siano evidenti, oggettivi, ma non tradizionali. Diamo ora un’occhiata più da vicino ad alcune delle componenti principali delle mie raccomandazioni per un approccio “senso forte”.

 3. Alcune teorie di base: visioni del mondo, forme di vita, ecc.

Ecco alcune basi teoriche fondamentali per un approccio “senso forte”:

1) Come esseri umani siamo sempre impegnati in progetti di vita interconnessi che, presi nel loro insieme, definiscono la nostra “forma di vita” personale in relazione a forme “sociali” più ampie. Poiché siamo impegnati in alcuni progetti (e non in altri), organizziamo o concettualizziamo il mondo e il nostro posto in esso in termini un po’ diversi dagli altri. Abbiamo interessi un po’ diversi, poste in gioco un po’ diverse e percezioni un po’ diverse sul mondo. Facciamo ipotesi un po’ diverse e ragioniamo in modo un po’ diverso.

2) Esprimiamo anche a noi stessi e agli altri una visione più articolata di come vediamo le cose, una visione che è nel migliore dei casi solo parzialmente coerente con la visione presupposta e riflessa nel nostro comportamento quotidiano. Abbiamo quindi due visioni del mondo che si sovrappongono: una implicita nella nostra attività e nei nostri impegni, un’altra implicita nei nostri discorsi sul nostro comportamento. Riconoscere le contraddizioni tra questi punti di vista è una condizione necessaria per svilupparsi come pensatore critico e come persona in buona fede con sé stessa. Entrambi sono misurati dal grado in cui siamo capaci di articolare sempre di più ciò che viviamo e di vivere sempre di più di ciò che articoliamo.

3) Il ragionamento è un’operazione essenziale e determinante presupposta da tutti gli atti umani. Ragionare è fare uso di elementi in un sistema logico per generare conclusioni. Le conclusioni possono essere esplicite o implicite nel comportamento. A volte il ragionamento è esplicitamente espresso nella forma di un argomento, a volte no. Tuttavia, poiché il ragionamento presuppone uno o più sistemi di cui è una manifestazione o dei contenuti rivelati, le piene implicazioni del ragionamento sono raramente (se non mai) esaurite o mostrate negli argomenti in cui sono espressi. Gli argomenti presuppongono le domande in questione. Le domande in questione presuppongono un punto di vista e interessi in gioco. I diversi punti di vista spesso differiscono non solo per quanto riguarda le “risposte” alle domande, ma anche per le formulazioni appropriate della domanda stessa.

4) Quando noi come esseri umani analizziamo e valutiamo argomenti che sono significativi per noi (questo include tutti gli argomenti che, se accettati, rafforzerebbero o indebolirebbero le convinzioni a cui ci siamo impegnati in parole o azioni), lo facciamo, compresi quelli di noi che sono logici, in relazione a precedenti impegni di credenze. Il meglio che possiamo fare nel muoverci verso una maggiore obiettività è portare in superficie l’insieme di credenze, assunzioni e inferenze dalla cui prospettiva la nostra analisi procede, e vedere esplicitamente la natura dialettica del nostro compito, le “mosse critiche” che potremmo fare in vari punti e le varie possibili “contromosse” che quelle mosse potrebbero richiedere.

5) La capacità di analizzare e valutare il ragionamento è la capacità di reciprocità, la capacità di ragionare su più punti di vista, comprendendo punti di forza e di debolezza attraverso la comprensione delle obiezioni che potrebbero essere sollevate nei vari punti della discussione da punti di vista alternativi.

6) Esporre elementi di ragionamento in forma “deduttiva” è utile non principalmente per determinare se è stato commesso un “errore” atomico formale o informale, ma per determinare mosse critiche cruciali che si potrebbero compiere nel determinare i punti di forza e di debolezza del ragionamento in relazione a possibilità alternative.

7) Poiché, tipicamente, “l’interesse” influenza le percezioni, le ipotesi, i ragionamenti in generale e le conclusioni specifiche “dedotte” in particolare, la consapevolezza della natura degli impegni, di noi stessi e degli altri è spesso un fattore cruciale per arrivare a riconoscere punti di forza e di debolezza nel ragionamento:

a) È solo quando riconosciamo, per esempio, che un dato argomento riflette, o se giustificato servirebbe, un dato interesse, che possiamo, intrattenendo con fantasia un interesse concorrente, costruire un punto di vista opposto e quindi un argomento opposto o insieme di argomenti. È sviluppando dialetticamente entrambi gli argomenti che arriviamo a riconoscere i loro punti di forza e di debolezza.

b) Gli argomenti non sono cose in sé, ma costruzioni di persone specifiche che devono interpretarli e svilupparli ulteriormente quando, ad esempio, vengono sollevate obiezioni. Riconoscendo gli interessi con cui sono tipicamente correlati determinati argomenti, possiamo spesso mettere in discussione la credibilità delle premesse di una persona alludendo a discrepanze tra ciò che dice e ciò che fa. Così facendo lo stiamo costringendo, per esempio, a criticare il proprio comportamento in linea con le implicazioni della sua argomentazione, o ad abbandonare la sua linea di argomentazione. Ci sono una serie di mosse critiche che può fare dopo essere stato così sfidato.

c) Riflettendo sugli interessi impliciti nel comportamento, spesso si possono costruire in modo molto più efficace i presupposti più favorevoli a quegli interessi. Una volta formulati, si può iniziare a formulare ipotesi alternative in competizione. Entrambi possono quindi essere messi in discussione in modo più efficace e possono essere intrattenuti argomenti a favore e contro.

8) L’insieme totale di “affermazioni fattuali” che sostengono una visione del mondo, e quindi dei vari argomenti da essa generati, è tipicamente indefinitamente ampio, spesso comporta problemi concettuali mutevoli e giudizi impliciti di valore (specialmente su come i “fatti” sono formulati). La credibilità delle singole affermazioni è spesso legata alla credibilità di molte altre affermazioni nell’insieme e, molto spesso, le affermazioni stesse sono molto difficili da verificare “direttamente” e atomicamente. Molto spesso poi nell’analizzare un argomento si devono esprimere giudizi di credibilità relativa, giudizi che sono più plausibili se tengono conto degli interessi acquisiti e del “track record” delle fonti.

9) I termini in cui viene formulato un argomento spesso riflettono l’interesse di parte della persona (o di un gruppo a cui la persona “appartiene”) che lo ha formulato. Mettere in discussione i concetti stessi che la persona sta usando o l’uso a cui sta mettendo quei concetti è una mossa critica molto importante. Per diventare abili in questo dobbiamo avere pratica nel riconoscere il modo sistematico in cui i gruppi sociali si muovono avanti e indietro selettivamente nel loro ragionamento tra un uso che è in linea con la logica del linguaggio ordinario e quello che si accorda con gli impegni ideologici del gruppo (e quindi è in conflitto con l’uso ordinario). Il significato di questo punto è più chiaro se si prende un elenco di termini chiave nell’attuale dibattito politico/sociale/etico mondiale, ad esempio “combattente per la libertà”, “liberatore”, “rivoluzionario”, “guerriglia”, etc.

a) cosa implica la logica dei termini in inglese separato dall’uso di un particolare gruppo sociale (diciamo, americani);

b) cosa implica l’uso di un particolare gruppo con interessi costituiti (diciamo, americani); c) i vari esempi storici che verrebbero utilizzati per suggerire incoerenza nell’uso di questi da parte, diciamo, degli americani, e il modo in cui tale incoerenza è collegata a presupposti fondamentali, tipicamente inespressi.

 4. Questioni etiche multi-categoriali

Insegnare il pensiero critico in senso forte significa aiutare lo studente a sviluppare capacità di ragionamento proprio in quelle aree in cui è più probabile che abbia pregiudizi egocentrici e sociocentrici. Tali pregiudizi esistono più profondamente nell’area della sua identità e degli interessi acquisiti. La sua identità e i suoi interessi sono a loro volta collegati alla sua visione del mondo inarticolata e articolata. La sua visione del mondo inarticolata rappresenta la persona che è (la visione implicita nei principi che usa nel guidare la sua azione). La sua visione articolata rappresenta la persona che pensa di essere (la visione implicita nei principi che usa per giustificare la sua azione). Le contraddizioni o incongruenze che esistono tra queste due visioni rappresentano, quando non si tratta di semplice “errore”, il grado in cui ragiona e agisce in malafede o in inganno.

Questioni che sono di natura multi-categoriale ed etica, da un lato, e implicano proposte di giustificazioni per il comportamento, dall’altro, sono ideali per insegnare il pensiero critico da questo punto di vista. E infatti la maggior parte delle questioni politiche, sociali e personali di cui siamo più preoccupati noi e gli studenti riguardano le caratteristiche di cui sopra: le questioni dell’aborto, dell’energia nucleare, delle armi nucleari, il problema della “sicurezza nazionale”, la povertà, le ingiustizie sociali di varia natura generi, rivoluzione e intervento, medicina socializzata, regolamentazione del governo, sessismo, razzismo, problemi di amore e amicizia, gelosia, diritti alla proprietà privata, diritti alle risorse mondiali, fede e intuizione contro ragione, e così via.

Ovviamente c’è solo un numero limitato di tali questioni che si possono trattare, e credo che i vantaggi risiedano nel trattare un numero più limitato di tali questioni in modo approfondito e intensivo piuttosto che un gran numero in modo più superficiale. Certamente non sono favorevole a inondare lo studente con una serie di argomenti troncati istituiti per “illustrare” gli errori atomici.

Dato che insegno negli Stati Uniti e poiché i media qui come ovunque riflettono, e gli studenti hanno tipicamente interiorizzato, un pregiudizio profondamente “nazionalista”, mi concentro su questioni che, per essere affrontate dialetticamente, richiedono allo studente di scoprire che ragionamento “americano” e il punto di vista “americano” sulle questioni mondiali non è l’unica possibilità dialettica. Questo serve a una serie di scopi:

1) Sebbene gli studenti in genere abbiano interiorizzato una buona parte della “propaganda” della propria nazione, in modo che il loro “ego” sia identificato in parte con l'”ego” nazionale, tuttavia non sono totalmente presi da quella propaganda né sono incapaci di iniziare il processo della sua sistematica messa in discussione.

2) Gli studenti diventano più abili nel costruire e più empatici nei confronti di linee di ragionamento alternative man mano che emergono sempre più le ipotesi egocentriche della copertura mediatica americana e della politica estera “americana”, ad esempio le ipotesi:

a) che gli americani, contrariamente agli altri popoli, amano e si impegnano in modo speciale per la libertà;

b) che gli americani hanno più energia, più know-how pratico e più buon senso degli altri popoli;

c) che il mondo nel suo complesso starebbe meglio (sarebbe più libero, più sicuro, più giusto) se gli americani avessero più potere;

d) che gli americani hanno usato il loro potere in modo diverso (più altruisticamente) rispetto agli altri popoli;

e) che gli americani sono meno avidi ed egoisti degli altri popoli;

f) che le vite americane sono più importanti delle vite degli altri popoli, ecc.

3) Arrivare ad affrontare in modo esplicito, arrivare a costruire alternative dialettiche alle “linee di partito” politiche e nazionali e alle contraddizioni che abbondano in esse, consente allo studente di tracciare paralleli con le sue “linee di partito” personali e del suo gruppo di pari e la miriade di contraddizioni in cui abbondano i suoi (e loro) discorsi e comportamenti. Sono proprio tali “scoperte” in forma molto esplicita e drammatica che generano un impegno per il valore dello “spirito critico” ed è solo con questo impegno che si sviluppano le basi per competenze critiche di “senso forte”.

5. Esempio di consegna e risultati

Ritengo utile fornire una consegna campione per indicare come le preoccupazioni e gli obiettivi di cui sto parlando possono essere tradotti in consegne. La seguente è stata assegnata lo scorso semestre come esame intermedio da svolgere a casa, a circa sei settimane dall’inizio del semestre. Agli studenti sono state concesse tre settimane per completarlo. Ecco le istruzioni di base:

“L’obiettivo di questo esame di medio termine è determinare la misura in cui comprendi e puoi utilizzare efficacemente i concetti di base del corso: visione del mondo, ipotesi, concetti (personali, sociali, impliciti nel linguaggio, tecnici), prove (affermazioni empiriche), implicazioni, coerenza, conclusioni, premesse, questioni in discussione.

Devi vedere e analizzare in modo critico e comprensivo due film: Attack on the Americas (un film di un think tank di destra che sostiene il controllo comunista dei rivoluzionari centroamericani) e Revolution or Death (un film del Consiglio Mondiale della Chiesa in difesa dei ribelli in El Salvador). In quei film vengono presentate due visioni del mondo incompatibili. Dopo aver analizzato i film e aver consultato qualsiasi materiale di sfondo che ritieni necessario per comprendere le due visioni del mondo, costruisci un dialogo tra due dei più intelligenti difensori di ciascuno dei punti di vista. Ognuno di loro dovrebbe dimostrare abilità nello spiegare i presupposti di base, le affermazioni discutibili, le idee, le inferenze, i valori e le conclusioni dell’altra parte. Ciascuno dovrebbe essere in grado di fare alcune concessioni all’altro punto di vista, senza rinunciare alla propria posizione di fondo.

Nella seconda parte del tuo articolo scrivi un commento in terza persona sul dibattito, indicando quale punto di vista è logicamente nella posizione più forte secondo te. Argomenta per la tua interpretazione; non affermarla semplicemente. Fornisci buone ragioni per rifiutare e/o accettare qualsiasi aspetto delle due visioni del mondo che rifiuti o accetti. Fai capire al lettore come la tua posizione riflette la tua visione del mondo. Il dialogo dovrebbe consistere di almeno 14 scambi (28 voci) e il commento dovrebbe essere di almeno 4 pagine dattiloscritte”.

È stata resa disponibile una varietà di materiali di base, tra cui il “Libro bianco” del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, una lettera aperta del defunto arcivescovo di San Salvador, una copia del programma dei ribelli di El Salvador, numerosi articoli ed editoriali di giornali e riviste sulla questione. Gli studenti sono stati incoraggiati a discutere e dibattere la questione al di fuori della classe (cosa che hanno fatto). Alcuni degli assistenti all’insegnamento e altri studenti sono stati determinanti nel portare un leader studentesco universitario salvadoregno a parlare nel campus. È stato utile per richiamare l’attenzione sul modo in cui i principali giornali stavano coprendo la storia (ad esempio, sottolineando che i resoconti favorevoli alla posizione del Dipartimento di Stato tendevano a essere coperti in prima pagina mentre i resoconti critici nei confronti della posizione del Dipartimento di Stato, ad esempio da Amnesty International, erano de-enfatizzati e ricondotti alle pagine da 9 a 17). Ho anche evidenziato incongruenze interne all’interno dei resoconti.

Molti degli studenti sono giunti a vedere uno o più dei seguenti:

1) Che in un conflitto come questo le due parti sono in disaccordo non solo sulle conclusioni ma anche su come dovrebbe essere posta la questione. Una parte porrà la questione, ad esempio, in termini di pericoli di una presa di potere comunista; dall’altra, in termini di necessità per le masse di rovesciare un regime repressivo. L’una vedrà che il problema fondamentale è causato dall’intervento “cubano” e “sovietico”; l’altra dall’intervento “americano”; ciascuna delle parti vedrà l’altra distorcere la domanda essenziale, dal proprio punto di vista.

2) Che un dibattito su come porre la questione si trasformi spesso in un dibattito su una serie di questioni fattuali. Questo dibattito sarà esteso a una serie di questioni storiche. In genere, ciascuna parte vedrà l’altra come una sopprimente le prove. Quelli favorevoli al regime di Duarte, ad esempio, vedranno l’altra parte sopprimere le prove della portata del coinvolgimento comunista in El Salvador. Quelli favorevoli ai ribelli vedranno l’altro sopprimere le prove della complicità del governo negli atti terroristici della destra. Ci sarà disaccordo su quale parte sta commettendo “la maggior parte” degli atti violenti.

3) Che questi disaccordi di fatto porteranno prima o poi a uno spostamento di terreno verso disaccordi concettuali: quali atti devono essere chiamati “terroristici”, quali “rivoluzionari” e quali atti di “liberazione”. Questo dibattito a un certo punto si evolverà in un dibattito sui valori, su quali atti sono “riprensibili” o “giustificati”. Molto spesso gli atti che da un punto di vista appaiono ad uno “richiesti” dalle circostanze saranno moralmente condannati dall’altro.

4) Che in vari punti della discussione il dibattito diventi “filosofico” e/o “antropologico”, coinvolgendo ampi temi riguardanti la “natura” dell’uomo e la “natura” della società umana. La parte che sostiene il governo tenderà ad assumere una posizione filosofica che sminuisca la capacità dell’“uomo massa” di esprimere giudizi razionali e appropriati a proprio favore, almeno quando è sotto l’influenza di “agitatori esterni” e “sovversivi”. L’altro tenderà ad essere più favorevole all'”uomo massa” e sospettoso della capacità e/o del diritto del nostro governo di prendere quelle che a loro sembrano decisioni che dovrebbero essere lasciate al popolo. Dal punto di vista di ogni lato, l’altro: distorce le questioni importanti, sopprimere le prove, stereotipa, usa analogie ingiustificate, compie ragionamenti causali errati, e così via.

Credo che il risultato finale di un tale compito sia che gli studenti siano maggiormente in grado di apprezzare le tipologie di mosse che si verificano tipicamente nelle discussioni quotidiane, e maggiormente in grado di metterli in prospettiva e costruire argomenti alternativi, proprio perché hanno un migliore senso di come gli argomenti si sviluppano in relazione tra loro e quindi in relazione a una “prospettiva” più ampia. Inoltre, credo anche che tali compiti diano allo studente una visione più pratica della natura “motivata” dei “difetti” dell’argomento. È quindi più in grado di “anticiparli” e più sensibili alle speciali mosse di prova che devono essere eseguite. Infine, molto più sensibili (di quanto credo sarebbe sotto la maggior parte degli approcci di “senso debole”) alle conseguenze etiche profonde del ragionamento “al servizio dell’ego” e alla facilità con cui possiamo divenirne preda. Se possiamo davvero realizzare qualcosa di simile a questi risultati, allora c’è molto da dire per l’ulteriore lavoro e lo sviluppo di approcci di “senso forte”. Quello che ho descritto qui è, spero, l’inizio di tale lavoro.